L’economia dello sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche: possiamo soddisfare in modo sostenibile la richiesta mondiale di pesce?

Lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche non è solo una crisi ambientale ma anche economica. L’industria ittica genera miliardi di dollari nel commercio globale ma le sue pratiche stanno impoverendo le riserve ittiche mondiali a ritmi insostenibili. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), più di un terzo delle riserve ittiche mondiali sono attualmente classificate come soggette a sfruttamento eccessivo, il che significa che vengono pescate più velocemente di quanto possano riprodursi naturalmente.

Ciò comporta rischi significativi non solo per gli ecosistemi marini ma anche per le economie e la sicurezza alimentare in tutto il mondo. In questa sede analizziamo gli incentivi economici che determinano lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche e le possibili soluzioni che potrebbero contribuire a invertire la tendenza.

Il commercio globale e il dilemma dello sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche

Secondo la FAO, nel 2018 il commercio internazionale di prodotti ittici e dell’acquacoltura è stato valutato nella misura di USD 150 miliardi, mentre il valore della prima vendita di pesce a livello sia nazionale sia internazionale ha raggiunto la sorprendente cifra di USD 401 miliardi. Il pesce rappresenta una fonte di proteine fondamentale per oltre 3 miliardi di persone nel mondo, soprattutto nelle regioni costiere e in via di sviluppo. Con l’aumento della domanda di prodotti ittici, cresce anche la pressione sulle riserve, creando una tensione tra guadagni economici a breve termine e sostenibilità a lungo termine.

Lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche è determinato da una serie di fattori, tra cui i progressi tecnologici nel settore della pesca, la globalizzazione del commercio e i sussidi governativi che incoraggiano l’aumento dell’attività di pesca. Come emerge da uno studio dell’International Journal of Ocean Affairs i governi hanno erogato circa USD 35 miliardi di sussidi all’industria della pesca nel 2018 per finanziare costi come il carburante, nuove imbarcazioni e attrezzi da pesca.

Molti di questi sussidi aggravano il problema poiché favoriscono l’eccesso di capacità dell’industria ittica, consentendo a un maggior numero di imbarcazioni di pescare in aree più vaste, spesso causando l’eccessivo sfruttamento delle riserve ittiche. Con la diminuzione delle popolazioni ittiche, le conseguenze economiche possono essere gravi: riduzione del pescato, diminuzione dei redditi per i pescatori e aumento dei prezzi dei prodotti alimentari per i consumatori.

Riforma delle sovvenzioni alla pesca: un passo verso la sostenibilità

Una delle soluzioni più urgenti è la riforma delle dannose sovvenzioni alla pesca. Nel giugno 2022 è stato raggiunto un importante accordo con l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), volto a ridurre le sovvenzioni che alimentano le attività di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. L’accordo dell’OMC sulle sovvenzioni alla pesca, una volta ratificato da due terzi dei suoi membri, proibirà le sovvenzioni per la pesca di risorse ittiche eccessivamente sfruttate e fornirà misure per prevenire le attività illegali.

Tuttavia, a luglio 2023, solo 78 dei 110 Paesi necessari hanno ratificato l’accordo, il che significa che non è ancora entrato pienamente in vigore. Questo ritardo evidenzia le complesse sfide politiche della riforma di un settore che è profondamente radicato in molte economie nazionali.

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Per molti paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, la pesca è una risorsa economica vitale. L’equilibrio tra gli interessi economici e la gestione ambientale richiede una cooperazione internazionale e solidi meccanismi di applicazione. Se avrà successo, questa riforma potrebbe ridurre l’impatto ambientale delle flotte di pescherecci in tutto il mondo e promuovere pratiche più sostenibili nell’intero settore.

Acquacoltura: un’arma a doppio taglio

Con la diminuzione delle riserve ittiche selvatiche, l’acquacoltura – ovvero l’allevamento di pesci in ambienti controllati – è cresciuta rapidamente per soddisfare la domanda globale. Secondo la FAO, oggi più del 50% del pesce che consumiamo proviene dall’acquacoltura. In apparenza, questa sembra essere una soluzione alla crisi dello sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche: allevando i pesci in stagni o recinti, possiamo ridurre la pressione sulle popolazioni selvatiche e soddisfare la domanda dei consumatori.

Tuttavia, anche l’acquacoltura comporta sfide economiche e ambientali. Secondo il World Wildlife Fund (WWF), molti allevamenti ittici si affidano alla farina di pesce, un mangime ricco di proteine ricavato da piccoli pesci pescati in natura. Questa pratica può avere un impatto devastante sui paesi più poveri che dipendono da questi piccoli pesci per la propria sicurezza alimentare. Dirottando queste risorse verso gli allevamenti ittici industriali, le comunità locali possono trovarsi ad affrontare un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari o carenze.

Inoltre, gli impatti ambientali dell’acquacoltura (inquinamento delle acque, distruzione degli habitat, diffusione di malattie alle popolazioni di pesci selvatici) sollevano preoccupazioni sulla sua sostenibilità nel lungo termine. Di fronte a tali sfide, il settore è sempre più nel mirino delle autorità di regolamentazione e dei consumatori che chiedono maggiore trasparenza e pratiche rispettose dell’ambiente.

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Per affrontare queste sfide, gli investimenti in pratiche di acquacoltura più sostenibili, come i mangimi a base vegetale o i sistemi di allevamento a ciclo chiuso, potrebbero contribuire a mitigare i danni ambientali, garantendo al contempo una fornitura costante di pesce al mercato.

La pesca illegale e non regolamentata: una minaccia economica globale

Un altro problema importante che mina gli sforzi per una gestione sostenibile delle riserve ittiche globali è la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN). Secondo la FAO, la pesca INN rappresenta fino al 20% delle catture mondiali, pari a circa 26 milioni di tonnellate di pesce ogni anno. Questo non solo impoverisce le popolazioni ittiche, ma costa anche all’economia globale miliardi di dollari di mancati introiti.

Uno dei principali fattori alla base della pesca INN è il numero di imbarcazioni non regolamentate che operano in tutto il mondo. Senza un monitoraggio e un’applicazione delle normative adeguati, i fenomeni di pesca illegale possono dilagare, in particolare nelle acque internazionali, dove la giurisdizione è limitata.

La lotta alla pesca INN richiede un notevole coordinamento internazionale. Molti paesi non dispongono delle risorse per sorvegliare efficacemente le proprie acque, il che agevola il proseguimento incontrollato delle attività illegali. Tuttavia, le tecnologie emergenti, come la localizzazione satellitare e i droni, stanno fornendo nuovi strumenti per monitorare le attività di pesca e applicare le normative.

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La repressione della pesca illegale potrebbe recuperare miliardi di mancati introiti, tutelare i posti di lavoro nell’industria ittica legale e contribuire a stabilizzare le popolazioni ittiche. La sfida consiste nel garantire la volontà politica e gli investimenti finanziari necessari per rendere queste misure efficaci su scala globale.

Gli argomenti economici a favore della pesca sostenibile

Il World Wildlife Fund (WWF) ha calcolato in USD 24’000 miliardi il valore patrimoniale complessivo degli oceani di tutto il mondo, compresi i pesci forniti, i trasporti marittimi realizzati e il carbonio assorbito. L’impatto economico dello sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche è evidente: dai sussidi governativi che incentivano l’eccesso di capacità alle operazioni di pesca illegale che impoveriscono le risorse, il modello attuale è insostenibile.

In definitiva, la gestione sostenibile della pesca non riguarda solo la tutela dell’ambiente, bensì anche la garanzia della redditività economica dell’industria ittica nel lungo termine e la sicurezza alimentare di milioni di persone. Grazie alla cooperazione internazionale e a investimenti in pratiche sostenibili, possiamo trovare un equilibrio tra la soddisfazione della domanda globale di pesce e la conservazione degli ecosistemi marini per le generazioni future.

Di fronte a una sfida ambientale sempre più pressante, la necessità di un’azione di questo tipo non è mai stata così urgente. Abbiamo già superato sei dei nove confini planetari che secondo gli scienziati sono alla base della stabilità ambientale. Gli esperti ritengono poi che nel procedere spingendoci oltre tali limiti (come l’acidificazione degli oceani, il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e la deforestazione) facciamo sì che questi confini interagiscano, innescando ulteriori effetti su altri confini e sistemi. 

In Lombard Odier riteniamo che si debba passare da un’economia estrattiva a un’economia rigenerativa, rispettosa della natura. Anziché esaurire le risorse finite del nostro pianeta, dobbiamo sfruttare la capacità della natura di creare valore in grado di autoalimentarsi e moltiplicarsi. Nelle zone di pesca vitali del mondo, ciò significa porre fine allo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche e trovare modi innovativi per rendere l’acquacoltura più sostenibile, consentendo la ricostituzione delle riserve ittiche, il ritorno della biodiversità e il ripristino degli ecosistemi marini danneggiati.

Stando all’ONU, gli oceani del mondo assorbono un quarto di tutte le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo e il 90% del calore in eccesso generato da queste emissioni. Per i milioni di persone che dipendono dagli oceani per il proprio sostentamento, per i miliardi di persone che vi fanno affidamento per il cibo e per tutti noi che contiamo sulla loro capacità di limitare i cambiamenti climatici, la salute degli oceani è essenziale e la pesca sostenibile ha un ruolo vitale da svolgere.

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