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The CLIC® Chronicles: in che modo Zalando sta spingendo l’industria della moda verso un’economia circolare
Un’intervista con Laura Coppen, Responsabile Circolarità, Zalando
Ogni secondo una quantità di capi d’abbigliamento pari al carico di un camion viene bruciata o gettata in discarica1. Tre capi d’abbigliamento su cinque finiscono la propria vita utile in questo modo2 – molti dopo essere stati indossati solo poche volte.
L’avvento del fast fashion ha prodotto un cambiamento nel comportamento dei consumatori. Spesso si è portati a considerare i capi d’abbigliamento convenienti e di bassa qualità come articoli usa e getta. La proliferazione di abbigliamento a basso costo e di scarsa qualità – si stima che vengano prodotti oltre 100 miliardi di capi all’anno – è uno dei fattori principali alla base dell’impatto ambientale dell’industria della moda. Il settore è oggi il quarto maggiore produttore di carbonio dopo trasporti, agricoltura ed energia.
Tuttavia, le richieste di un cambiamento si stanno facendo sempre più pressanti e i principali produttori del settore si stanno attivando per invertire la tendenza del “wear it once”. In occasione del recente Forum economico mondiale di Davos abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Laura Coppen, Responsabile Circolarità presso la multinazionale della moda Zalando, che ci ha illustrato le innovazioni in fatto di circolarità e il modo in cui Zalando promuove la produzione sostenibile in tutto il settore della moda.
La sua carriera è incentrata sul rendere l’industria della moda più sostenibile e circolare. Perché questo è così importante per lei?
Sono nel settore della moda da 15 anni e ho lavorato in varie parti del mondo, tra cui Hong Kong, Shanghai, il Kenia, la Svezia e ora Berlino. Quando lavoravo nella produzione globale, sono rimasta sconvolta nel vedere l’enorme quantità di capi prodotti dal settore della moda. Non riuscivo a credere che là fuori ci fossero abbastanza persone disposte ad acquistare tutti quei prodotti.
La produzione di abbigliamento è raddoppiata dal 2002. I clienti oggi acquistano il 60% di capi di vestiario in più e li gettano via due volte più velocemente. Il settore è inondato di abbigliamento a basso costo e di scarsa qualità, che non resiste alla prova del tempo poiché, di fatto, non è stato concepito per farlo. Abbiamo creato un sistema di sovrapproduzione e sovraconsumo con un impatto estremamente negativo sulle persone e sul pianeta.
Allo stesso tempo, tuttavia, la moda è molto importante. È un settore globale e dinamico che dà lavoro a milioni di persone; inoltre, permette a ciascuno di creare una propria identità personale.
Nel 2014 ho iniziato a cercare un modello alternativo per il settore e a studiare più a fondo l’economia circolare. Durante questo percorso ho capito che è incredibilmente complesso realizzare un cambiamento di questa portata, da lineare a circolare. Come sappiamo dal Circularity Gap Report, inoltre, l’economia mondiale è sempre meno circolare ed è scesa dal 9,1% nel 2018 al 7,2% nel 2022. La transizione richiede un cambiamento radicale del comportamento dei clienti, ma anche delle aziende, che possono guadagnare producendo meno o applicando modelli di business alternativi che generano entrate, come la rivendita o il noleggio. Dall’altra parte, le aziende devono disporre dell’infrastruttura adeguata – poiché nessuna società può compiere il passaggio da lineare a circolare da sola.
Esistono innumerevoli opportunità per creare posti di lavoro attraverso modelli di business alternativi, come ad esempio infrastrutture per riparare, riciclare e rivendere. Se lo faremo bene, non solo ridurremo l’impatto ambientale, ma avremo anche un risvolto sociale positivo.
Come si configurerebbe un settore della moda realmente circolare per i consumatori?
Innanzitutto è necessario ridurre il numero di prodotti immessi sul mercato. Affrontare il problema della sovrapproduzione è fondamentale. La progettazione e la produzione dei prodotti sono responsabili per l’80-90% dell’impatto ambientale e per il 45% delle emissioni. Per questo ridurre la quantità dei prodotti è già un buon inizio. Dobbiamo progettare prodotti migliori utilizzando i principi della progettazione circolare – ridurre scarto e inquinamento, mantenere i materiali in circolo più a lungo e rigenerare i sistemi naturali. La circolarità deve inoltre tenere conto dei diritti umani. Dobbiamo creare posti di lavoro che garantiscano una sussistenza dignitosa agli occupati del settore.
Per i clienti, dobbiamo introdurre modelli alternativi che lascino libertà di scelta – così che possano decidere se acquistare capi di seconda mano, noleggiarli o riparare i capi che possiedono già. Un altro aspetto cruciale per la transizione verso la circolarità è l’estensione della durata di vita dei prodotti.
Dobbiamo inoltre informare le persone su come acquistare prodotti migliori. Con i nostri prodotti a marchio privato redeZIGN, i clienti possono scansionare il codice QR e visualizzare informazioni su provenienza e materiali, ma anche video sulla cura del capo acquistato.
Molte organizzazioni fanno erroneamente coincidere la circolarità con il riciclo, ma non è così: il riciclo è solo una parte. I prodotti dovrebbero essere di qualità sin dalla fase di progettazione e dovrebbero essere realizzati per durare. I consumatori stanno acquisendo maggiore consapevolezza sul valore del loro guardaroba e stanno vedendo i chiari vantaggi del monetizzare i capi che non indossano più. Per i clienti si tratta dunque di acquistare meno, acquistare meglio e anche trarre il massimo dal guardaroba esistente. Per citare Orsola de Castro, “il capo più sostenibile è quello che è già nel tuo guardaroba.”
La collaborazione di Zalando con la start-up berlinese ‘circular.fashion’ prevede anche la realizzazione di capi di abbigliamento totalmente riciclabili. Secondo lei, da dove arriveranno con maggiore probabilità gli incentivi per creare l’infrastruttura necessaria?
Abbiamo assolutamente bisogno di un’infrastruttura di raccolta, smistamento e riciclaggio di portata appropriata. Il 73% dei prodotti finisce nelle discariche e negli inceneritori, e soltanto l’1% dei tessuti viene riciclato in materiali di alta qualità. La progettazione mirata al riciclaggio è incredibilmente complessa. È una sfida che abbiamo raccolto con la nostra collezione ‘redeZIGN for circularity’, in cui progettiamo prodotti duraturi realizzati con materiali riciclati o rinnovabili.
L’infrastruttura per il riciclaggio sta ancora muovendo i primi passi. Come incentivarla per farla crescere quanto serve è un interrogativo piuttosto spinoso – bastone o carota? Le aziende devono essere forzate a tenere conto di prodotti che potrebbero diventare scarto. Un modo per farlo è la Responsabilità estesa del produttore3 (EPR), ma deve essere armonizzata a livello UE.
In Zalando stiamo investendo in attività di riciclaggio. Riteniamo che sia necessario accelerare l’infrastruttura di riciclaggio a livello mondiale. Abbiamo investito in Infinited Fiber, una start-up finlandese che produce una fibra tessile circolare di qualità eccellente che riduce la dipendenza globale dalle materie prime vergini, e in Ambercycle, una start-up statunitense che si occupa di poliestere. Le normative attualmente in esame richiederanno una percentuale minima di materiale riciclato nei prodotti; questo approccio è dunque vincente anche da una prospettiva a lungo termine di redditività del capitale investito. L’obiettivo è aumentare la percentuale dei materiali riciclati immessi sul mercato e ridurre la dipendenza dal materiale vergine.
Zalando vende un ampio portafoglio di marchi. Come integrate la caratteristica di sostenibilità nel vostro processo di selezione?
Vendiamo oltre 6’000 marchi. Tutti devono soddisfare i nostri standard di approvvigionamento minimi, e questo ci assicura un certo controllo sui marchi che vendiamo e su quelli che non vendiamo. Inoltre, stiamo aggiornando questi standard per innalzare l’asticella nel settore. Non abbiamo paura di depennare i marchi che non soddisfano i nostri standard come ultima istanza, tuttavia la nostra argomentazione più convincente è incentivare i marchi a sviluppare collezioni più sostenibili e adottare sistemi che li rendano credibili agli occhi dei consumatori. Attraverso i label privati e la collezione redeZIGN, abbiamo sperimentato e testato i nostri criteri di progettazione circolare e possiamo quindi condividere ciò che abbiamo imparato.
Siamo sempre alla ricerca di marchi che alzano l’asticella e ci mettano di fronte a una sfida. Ritengo fondamentale che i marchi che si stanno impegnando di più vengano elogiati di più. Per questo pubblicizziamo le caratteristiche dei loro prodotti ai nostri clienti finali. Esistono alcuni marchi incredibilmente innovativi, come Filippa K. Utilizzano materiali innovativi, come pure un’elevata quantità di materiali di provenienza locale e di filiere locali. I loro prodotti sono fatti per durare e hanno un elevato valore di rivendita. Anche Patagonia, è un classico. Ammiro la loro motivazione. La loro audacia è sempre fonte d’ispirazione. È proprio questo ciò che dovremmo vedere di più.
Che ruolo occupa la sostenibilità nella sua vita?
È importante mettere in pratica ciò che si predica. Vivo a Berlino, una delle migliori città in cui muoversi in bicicletta, quindi mi muovo parecchio in bicicletta. Compro meno di quanto facevo molti anni fa e cerco soprattutto prodotti di seconda mano. Quando si tratta di vestiti, credo fermamente nella validità del noleggio di capi che si indosseranno una o due volte per eventi particolari. Con i vestiti per mio figlio, ad esempio, facciamo molto spesso scambi con altri membri della famiglia. Pensare a quali capi di abbigliamento posso scambiare con altri familiari, soprattutto quando si tratta di bambini che crescono molto in fretta – questo è uno dei modi più efficaci per iniziare a sviluppare una mentalità circolare.
1Fashion and a circular economy | Ellen MacArthur Foundation
2 Style that’s sustainable: A new fast-fashion formula | McKinsey
3 La Responsabilità estesa del produttore è una strategia che internalizza tutti i costi ambientali associati a un prodotto lungo il suo ciclo di vita nel prezzo di mercato di quel prodotto.
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